
Senza speranza senza paura, nec spe nec metu
Nella primavera del 2011, in quei vicoli del centro storico di Napoli da cui il Caravaggio trasse ispirazione 400 anni prima per le sue “Sette opere di Misericordia”, rivivono le storie di tre ragazzi, come usciti da una tela del pittore: Habib, un giovane tunisino scappato dalla rivoluzione; Aygul, una giovane uzbeka cresciuta in Italia; Corradino, un giovane napoletano preso tra la crisi e i facili guadagni della malavita. Sono loro a essere irradiati a prisma dalla luce del dipinto del Caravaggio e a ritrovarsi in un contesto del tutto identico a quello che fu del pittore, inseguiti dai guai della vita e da figure in carne e ossa che cercano di fare su di loro una vendetta sociale che non lascia margini. Tutto comincia dunque quattrocento anni prima. Nel 1606, anno in cui il pittore Caravaggio raggiunge Napoli in fuga dai gendarmi dello Stato Pontificio, che lo cercano con l’accusa di omicidio da scontarsi attraverso la pena capitale per decapitazione. Nei quattro anni di soggiorno napoletano che ne seguirono, l’artista matura la coscienza di un uomo in fuga, braccato, al punto da eleggere “nec spe nec metu” a proprio motto: senza speranza senza paura. Nonostante questo stato d’animo ossessivo riesce a produrre uno dei capolavori della pittura mondiale: “Le sette opere di Misericordia”, all’interno del quale sono contemporaneamente rappresentati i sette gesti raccomandati per ogni buon cristiano.